virus non sono certamente i migliori amici dell’uomo. A volte possono essere utili (per esempio nella terapia genica), ma in genere portano disgrazie: raffreddori, influenze, infezioni terribili (come l’ebola), o addirittura tumori.

I nostri organi genitali, ad esempio, sono vittime della pericolosa azione cancerogena del virus del papilloma umano, chiamato anche HPV.
Le parti intime di noi esseri umani sono foderate con un tessuto protettivo imparentato con la pelle, che si chiama epitelio. L’epitelio è formato da cellule ammonticchiate le une sulle altre come in un muretto a secco: alla base ci sono quelle squadrate e robuste; in mezzo quelle di forma un po’ più irregolare; in cima, vicino alla superficie, le cellule sono piatte e resistenti, e servono a proteggere gli strati sottostanti.

“Cellule” di Iacopo Leardini

Il virus del papilloma umano arriva all’epitelio degli organi genitali per via sessuale. Una volta giunto sul posto, infetta innanzitutto le cellule squadrate che formano la base del tessuto. Queste sono le uniche cellule nei dintorni a essere autorizzate a riprodursi, e quindi ad avere un macchinario di replicazione del DNA attivo e funzionante. L’HPV conta proprio su questo macchinario per poter replicare il proprio DNA, visto che lui, da solo, non sarebbe in grado farlo.

Il virus si accontenta, per il momento, di accumulare solo qualche decina di copie del suo striminzito DNA: così facendo, crea ben pochi problemi alla cellula che lo ospita, ed evita di attirare su di sé le attenzioni del sistema immunitario. La cellula infettata prosegue placidamente nel suo ciclo vitale, riproducendosi: una delle sue cellule figlie (che ha ereditato varie copie del virus) lascia lo strato basale dell’epitelio per risalire lentamente verso i piani alti.
Durante il tragitto, che dura 2-3 settimane, la cellula dovrebbe invecchiare gradualmente fino a diventare, una volta arrivata in superficie, piatta e smorta. L’HPV nascosto dentro di lei, però, la spinge a contravvenire agli ordini dell’organismo, e ad attivare ancora una volta il suo apparato di replicazione del DNA: in questo modo il virus può moltiplicarsi ulteriormente, fino a raggiungere centinaia o migliaia di copie.
Arrivata in cima, poco prima di morire, la cellula rilascia i virus, che ricominciano daccapo il ciclo infettivo.

Nella stragrande maggioranza dei casi, il sistema immunitario riesce (anche se un po’ a fatica) a riprendere il controllo della situazione e a sconfiggere l’infezione.
Talvolta invece questa si sviluppa così in sordina e sottotono (nessuna infiammazione, niente cellule squartate…) da passare del tutto inosservata. A questo contribuisce il fatto che il virus non si fa mai vedere nel sangue, e si limita a frequentare cellule epiteliali talmente periferiche da essere quasi al di fuori dalla portata delle cellule immunitarie.
Se il sistema immunitario non si sveglia e l’infezione diventa cronica, il rischio che una delle cellule infettate si trasformi prima o poi in una cellula tumorale cresce notevolmente.

L’HPV infatti spinge le cellule dell’epitelio a riprodursi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di cellule in “menopausa”, nelle quali la ventata di foga riproduttiva dura poco e poi si spegne per sempre.
Ma a volte a essere infettate sono cellule giovani e attive, più suscettibili alle tentazioni di una riproduzione incontrollata. Un accidentale danno al DNA, sommato all’effetto del virus, può spingerle ad abbandonare le ultime inibizioni e a trasformarsi in vere e proprie cellule tumorali.

Fortunatamente i tumori causati da HPV crescono abbastanza lentamente e, se identificati in tempo, possono essere eliminati prima di diventare veramente pericolosi. Per questo, in molti paesi le donne si sottopongono periodicamente a un esame di screening (il famoso Pap test) che permette di identificare il più comune tra i tumori causati da HPV, quello del collo dell’utero. In questo modo, vengono salvate ogni anno moltissime vite.

Da qualche anno, la prevenzione dei tumori virali può fare affidamento anche su un altro importantissimo strumento: il vaccino contro l’HPV. Il vaccino previene i tumori del collo dell’utero bloccando sul nascere l’infezione virale. Ma il vaccino va fatto prima che ci sia stato qualsiasi contatto con il virus, altrimenti sarebbe inutile. E siccome i contatti con il virus passano attraverso i rapporti sessuali, il vaccino viene somministrato alle ragazze adolescenti, attorno ai 12 anni, in anticipo sull’inizio dell’attività sessuale.
Gli effetti complessivi delle campagne di vaccinazione si vedranno solo tra qualche anno, ma già ora si iniziano a vedere gli effetti positivi del vaccino antiHPV, con un calo non solo dei tumori al collo dell’utero, ma anche di altri tipi di tumore provocati dall’HPV (ad esempio un tipo di cancro alla bocca, in continuo aumento negli ultimi anni).
Se le cose continueranno in questa direzione, la lotta contro il cancro potrà celebrare un altro grande successo.


Altre Fonti e Approfondimenti

The biology and life-cycle of human papillomaviruses
Human papillomavirus: gene expression, regulation and prospects for novel diagnostic methods and antiviral therapies