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“La scienza leggera da leggere” a cura di Danilo Allegra
La maggior parte delle nostre cellule vive una vita piuttosto tranquilla, e muore serenamente di vecchiaia. Di tanto in tanto, però, anche loro sono vittime di improvvise catastrofi che sconvolgono l'esistenza: carneficine scatenate da virus sanguinari, relazioni pericolose con sostanze chimiche variamente urticanti, piogge di cocenti raggi ultravioletti e così via.
In genere in questi casi alcune cellule ci lasciano la pelle, ma molte altre riescono a salvarsi grazie all'attivazione di un antico meccanismo di difesa chiamato infiammazione.
L'infiammazione è uno stato di emergenza che viene dichiarato in risposta a stimoli dannosi. A prescindere da quale sia l'evento che la scatena, l'infiammazione viene organizzata, gestita e indirizzata dal nostro onnipresente, tentacolare sistema immunitario.
Le cellule del sistema immunitario hanno infatti una dotazione di proteine-sensori da fare invidia alle sonde di esplorazione marziane, e grazie a queste sono in grado di riconoscere una grande varietà di sostanze pericolose (o quantomeno sospette): frammenti batterici, insoliti genomi virali, ma anche "interiora" di cellule umane sparpagliate da qualche catastrofico evento.
"Cellule" di Iacopo Leardini
In ogni caso, quando un sensore aggancia lo stimolo giusto, la cellula immunitaria inizia a vedere rosso e lancia l'allarme, rilasciando segnali di pericolo che raggiungono altre cellule del sistema immunitario (e non solo), mettendole in agitazione. In questo modo si crea una reazione a catena che causa l'apertura dei vasi sanguigni e richiama nella zona dell'emergenza sangue e cellule.
Tutto questo trambusto produce nel tessuto colpito quattro evidenti conseguenze, che rappresentano il marchio di fabbrica dell'infiammazione: arrossamento, gonfiore, calore e dolore. I primi tre sono dovuti all'accumulo di sangue, che trabocca dai vasi sanguigni; il dolore invece deriva dall'attivazione dei nervi causata dai segnali d'allarme, e serve a evitare il ripetersi di comportamenti autolesionisti (e pro-infiammatori) come addormentarsi al sole (d'estate) o darsi una martellata su un dito (tutto l'anno).
La generale mobilitazione di cellule e risorse causata dall'infiammazione permette spesso di eliminare la causa dell'allarme (per esempio un'infezione) e aiuta a riparare i danni causati dal traumatico evento. Il sistema immunitario, infatti, oltre a essere un complicatissimo sistema di polizia cellulare, funge anche da servizio di protezione civile, e avvia i lavori necessari alla ricostruzione delle zone disastrate.
In alcuni casi la causa scatenante dell'infiammazione può anche essere un tumore che attira su di sé le attenzioni del sistema immunitario. Se tutto va bene, l'infiammazione favorisce l'eliminazione delle cellule tumorali e il ritorno alla normalità.
Esistono però anche dei tipi di cancro che nascono e prosperano nel bel mezzo dell'infiammazione.
A volte, nonostante la buona volontà delle cellule coinvolte, l'infiammazione si rivela un insuccesso e non riesce a eliminare lo stimolo irritante: la presenza costante di questo stimolo la rende cronica.
L'infiammazione cronica è uno stato di emergenza continua che crea un ambiente alterato ed espone le cellule a stimoli che possono favorirne la trasformazione tumorale.
Uno degli esempi più evidenti della connessione tra infiammazione e cancro sono le malattie infiammatorie croniche dell'intestino, nelle quali l'infiammazione cronica favorisce lo sviluppo di tumori del colon.
Per controllare la malattia si usano farmaci antinfiammatori, alcuni dei quali sono versioni modificate dell'aspirina®. Secondo alcuni studi, questi farmaci, bloccando l'infiammazione, potrebbero proteggere dal cancro una parte dei pazienti. Tuttavia i risultati sono ancora incerti e servono conferme.
D'altra parte, sembra che usare aspirina per lunghi periodi protegga anche da altri tipi di cancro del colon, non direttamente legati all'infiammazione cronica dell'intestino.
La vecchia aspirina diventerà un nuovo modo di prevenire il cancro? È presto per dirlo: bisogna prima confermare che funzioni, e capire quali sono gli effetti collaterali di un uso molto prolungato.
Ma ci sono già diversi studi in corso, e presto avremo una risposta.
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