In molti parti del corpo le nostre cellule vivono addossate le une alle altre, con solo qualche fluido strato di grasso, non più spesso di una tenda, a separarle. Invece di lamentarsi per la mancanza di privacy, mostrano una commovente tendenza alla socialità, allacciandosi in un mare di interazioni e relazioni con le proprie vicine. Per comunicare, non avendo occhi o orecchi, si affidano al tatto: usano le proteine che sporgono dalla loro superficie come caratteri di un alfabeto braille molecolare, per scambiarsi informazioni di ogni tipo.
In alcuni casi i rapporti di vicinato sono così buoni che cellule confinanti possono decidere di creare uno spazio condiviso, aprendo nelle pareti comunicanti delle porticine, chiamate gap junction, attraverso le quali passano piccole cose, come sali, zuccheri…
A volte però è necessario comunicare con cellule un po’ più lontane, con le quali un contatto diretto è impossibile (comunicazione paracrina). In caso di emergenze, ad esempio, bisogna assolutamente allertare le cellule del sistema immunitario (il corpo di polizia cellulare), che in genere sono sempre nei paraggi ma mai esattamente dove servono.
Per attirare la loro attenzione, le cellule emettono delle molecole di segnale che, come odori, si spandono nell’ambiente circostante. Quando una delle cellule immunitarie percepisce l’odore, ne segue la scia fino ad arrivare all’origine del segnale, materializzandosi proprio dove c’è più bisogno di lei.
“Cellule” di Iacopo Leardini
Per la comunicazione su distanze ancora più lunghe (comunicazione endocrina) si usano degli speciali segnali a lungo raggio chiamati ormoni. Alcuni ormoni agiscono come le altre molecole di segnale, legandosi alla superficie delle cellule bersaglio per stimolare reazioni di vario tipo; altri invece penetrano direttamente all’interno delle cellule e, senza che queste si rendano esattamente conto di quello che sta succedendo, le mettono sotto sopra.
Se si esclude la trasmissione nervosa (della quale parleremo un’altra volta), rimane da citare un ultimo sistema di comunicazione cellulare, che si distingue dagli altri perché non si basa su un semplice scambio di segnali: in questo caso a essere inviate e ricevute sono delle vescicole, cioè dei corposi frammenti cellulari contenenti cose come proteine, grassi, RNA e perfino DNA. Le vescicole, pertanto, sono delle bombe: la differenza tra una normale molecola di comunicazione e una vescicola è più o meno la stessa che c’è tra una cartolina di auguri e il pacco che ti spedisce la mamma a Natale, pieno di arance, torrone, pastori del presepe e degli immancabili calzettoni di lana.
Visto quello che trasportano, le vescicole potrebbero influenzare pesantemente i rapporti tra le cellule: ma questo tipo di comunicazione è una scoperta relativamente recente, e non è ancora chiaro quanto sia importante per il funzionamento del nostro corpo.
Resta da capire una cosa: di cosa parlano le cellule quando comunicano tra di loro?
Non avendo a disposizione partite di calcio né talent show da commentare, non possono che discutere degli aspetti pratici della vita di ogni giorno: sopravvivenza, maturazione, riproduzione, regolazione delle funzioni cellulari…
Vista l’importanza di questi argomenti, le incomprensioni tra le cellule possono avere conseguenze gravi, e contribuire, tra le altre cose, allo sviluppo e all’evoluzione dei tumori.
Una cellula tumorale, ad esempio, può cercare di convincere le cellule che le stanno attorno (il cosiddetto microambiente) a produrre dei segnali speciali, che la aiutino a espandersi nei tessuti circostanti. Se queste si rifiutano di assecondarla, può decidere di fare tutto da sola, emettendo nell’ambiente dei segnali “autostimolanti”, cioè rivolti essenzialmente a se stessa (comunicazione autocrina).
Inoltre le cellule tumorali fanno un abuso dei pacchi-vescicole, inviandone in giro per il corpo grandi quantità: questo può influenzare il comportamento delle altre cellule vicine e lontane, favorendo la crescita del tumore e delle sue metastasi.
Altre fonti e approfondimenti
Microvesicles as mediators of intercellular communication in cancer—the emerging science of cellular ‘debris’