raggi ultravioletti (o UV) emessi dal sole sono dannosi per la nostra pelle.
Gli UV sono strettamente imparentati con la luce visibile (in particolare con quella di colore viola), ma sono per così dire più “compatti” e trasportano una quantità maggiore di energia. È a causa di questa caratteristica fisica che gli UV possono interagire con il DNA, danneggiandolo.

Due delle quattro basi che compongono il DNA, infatti, – la Timina (T) e la Citosina (C) – hanno una struttura che sembra fatta apposta per assorbire i raggi UV.
Ogni volta che una di queste basi viene colpita, assorbe una quantità di energia tale da diventare estremamente eccitata, come per una overdose di caffè. Per sfogare il suo eccesso di energia può decidere di prendersela con la base che le sta accanto, ma solo se anche questa è una Timina o una Citosina.

Il risultato di questa immotivata aggressione è un prevedibile disastro: le due basi rimangono incollate l’una all’altra e non è più possibile separarle. Per riparare il danno al DNA bisognerà rimuovere le basi, per poi sostituirle.
Questo meccanismo di riparazione è molto attivo nelle cellule esposte ai raggi UV e funziona piuttosto bene; ma può capitare che qua e là alcune delle coppie di basi incollate sfuggano ai sistemi di controllo della cellula e rimangano lì, senza essere rimosse.

“Cellule” di Iacopo Leardini

Quando la cellula, dovendo dividersi, decide di replicare il proprio DNA, i danni non riparati causati dagli UV diventano un problema. L’apparato di replicazione del DNA infatti non è in grado di distinguere bene tra le Timine e le Citosine, quando sono incollate; e, nel dubbio, tende a considerarle tutte Timine. Di conseguenza, a replicazione conclusa, molte delle Citosine danneggiate dagli UV finiscono per diventare Timine.

In questo modo, i raggi ultravioletti introducono nel DNA degli errori tipici che gli scienziati chiamano mutazioni C>T. A lungo andare le mutazioni possono alterare geni importanti, come quelli che controllano la crescita cellulare.

Quando ciò accade, le cellule della pelle mutate possono formare dei tumori.
La nostra pelle, tuttavia, non è del tutto indifesa: a proteggerla dai raggi UV ci pensa la melanina.
La melanina è un pigmento scuro – prodotto da cellule specializzate chiamate melanociti – che dà colore alla nostra pelle. Il suo compito è proprio assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così le cellule e il loro DNA.

I primi esseri umani, che vivevano sotto il cocente sole africano, avevano un disperato bisogno di melanina. I nostri progenitori che hanno sviluppato la capacità di produrne grandi quantità hanno ottenuto un notevole vantaggio.
I discendenti emigrati all’estremo nord, invece – ritrovatisi in un clima grigio e sotto un pallido sole – furono costretti a scolorirsi, per evitare che una pelle troppo scura bloccasse del tutto il passaggio dei raggi solari. Una certa quantità di UV infatti non solo non è dannosa, ma è necessaria al nostro organismo, che così può produrre la fondamentale vitamina D.

Nelle zone geografiche intermedie la situazione era più complicata: d’inverno c’era poco sole e bisognava essere pallidi; d’estate il sole picchiava duro, rendendo necessaria una robusta protezione a base di melanina. Fu così che l’evoluzione inventò l’abbronzatura.
In condizioni normali, i melanociti che si trovano sparpagliati all’interno della pelle producono una quantità relativamente bassa di melanina. Quando il DNA delle cellule della pelle esposte al sole inizia a riempirsi di basi danneggiate, si scatena una cascata di reazioni che causa una infiammazione della pelle: l’eritema solare (cioè, la scottatura).

Nel frattempo, però, scatta un piano di difesa d’emergenza: i melanociti incrementano la produzione di melanina e la modificano per renderla ancora più scura; poi la distribuiscono alle cellule adiacenti (che la utilizzano come schermo per proteggere il proprio DNA). Di conseguenza, la pelle si scurisce.
L’abbronzatura, quindi, è una risposta della pelle ai danni al DNA causati dai raggi ultravioletti e serve a fornire una protezione parziale da ulteriori danni.
Molte persone di carnagione chiara hanno dei difetti nel meccanismo di risposta ai raggi UV, che impediscono loro di abbronzarsi e li espongono a un rischio più elevato di sviluppare tumori della pelle.

Per saperne di più
Nei e melanomi: l’ossessione tumorale di una crescita continua (biocomiche.it)
Sole, istruzioni per l’uso (AIRC)

Altre Fonti
Human skin pigmentation as an adaptation to UV radiation
The Mechanisms of UV Mutagenesis