Uno dei grandi vantaggi di cui godono le cellule umane è che tutto quello di cui hanno bisogno per vivere viene portato loro direttamente a domicilio, grazie ai vasi sanguigni.
I vasi sanguigni sono un’enorme rete di gallerie che percorre il nostro corpo fin nelle sue parti più remote, permettendo il passaggio del sangue e di tutta una serie di sostanze utili alle cellule.
Questo comodo sistema di “consegne a domicilio”, però, può diventare anche uno svantaggio. A volte uno dei vasi sanguigni si ostruisce e i tessuti (e le cellule) che si trovano nelle vicinanze rimangono all’asciutto: senza sangue, senza cibo e soprattutto senza ossigeno. Sì, perché senza mangiare e senza bere un po’ si può resistere, ma senz’aria la resistenza è minima. Ancorate come sono a organi e tessuti, le cellule non possono certo andare in giro a procurarsi dell’ossigeno per conto proprio. L’unica maniera per scampare alla morte per soffocamento è chiedere aiuto, lanciando dei segnali di soccorso, sotto forma di proteine-SOS.
“Cellule” di Iacopo Leardini
Le proteine-SOS, rilasciate dalle cellule private di ossigeno, si spandono come onde radio in tutte le direzioni e incontrano sul proprio percorso vari tipi di cellule. La maggior parte di queste non è in grado di rispondere adeguatamente alla richiesta di soccorso. Le uniche che possono davvero fare qualcosa per le loro colleghe in difficoltà sono le cellule endoteliali.
Le cellule endoteliali costituiscono le pareti di tutti i vasi sanguigni e formano quindi la struttura portante delle gallerie nelle quali circola il sangue; inoltre vengono incaricate, in caso di bisogno, della creazione di nuovi vasi sanguigni, un processo conosciuto come angiogenesi.
Le cellule endoteliali raggiunte dalla richiesta di soccorso abbandonano il loro posto sulle pareti dei vasi sanguigni e cominciano a scavare in direzione delle cellule asfissiate, seguendo la “scia” lasciata dalle proteine-SOS. Man mano che scavano, creano nuove gallerie, che si diramano dai vasi sanguigni principali e arrivano infine alla zona rimasta isolata, portando sangue, cibo e ossigeno.
Nelle persone adulte, l’angiogenesi si attiva solo in casi particolari. Di solito, infatti, le nostre cellule ricevono tutto l’ossigeno di cui hanno bisogno, e non hanno alcun motivo per lanciare segnali di stress o richieste di soccorso. Per le cellule tumorali, invece, le cose funzionano in maniera diversa.
I tumori, infatti, soffrono di un cronico problema strutturale: il sovraffollamento. Le cellule tumorali crescono in testa alle loro vicine e raggiungono densità da metropoli asiatiche, senza avere le infrastrutture – cioè i vasi sanguigni – necessarie a sostenerle. A passarsela male sono soprattutto le cellule che stanno nella parte più interna del tumore, dove non arriva neanche un filo di ossigeno e l’atmosfera è a dir poco soffocante.
Le cellule tumorali sono interamente responsabili della propria spiacevole situazione, perché sono già troppe e continuano comunque a riprodursi. Ciononostante, non si vergognano minimamente di chiedere aiuto alle cellule endoteliali: fanno quindi ampiamente ricorso all’angiogenesi.
Se un tumore non riesce a sfruttare l’angiogenesi a proprio vantaggio, la crescita si blocca e il tumore diventa una specie di organo-giocattolo, minuscolo e inoffensivo. L’angiogenesi dunque è fondamentale per lo sviluppo dei tumori. Per questo la ricerca contro il cancro ha prodotto, negli ultimi anni, parecchi farmaci progettati per ostacolarla. Molti di questi farmaci non si accontentano di bloccare la formazione di nuovi vasi sanguigni, ma fanno anche sparire quelli già esistenti all’interno del tumore. Questo può spingere il tumore a rimpicciolirsi, o per lo meno a smettere di crescere.
Purtroppo, i farmaci anti-angiogenesi non funzionano contro tutti i tipi di cancro: a volte i vasi sanguigni tumorali resistono alla terapia e rimangono attivi; oppure il tumore continua a svilupparsi anche se la sua fornitura di sangue è stata tagliata. Un altro problema dei farmaci anti-angiogenesi è che possono bloccare anche i nuovi vasi che servono ad esempio a riparare una ferita.
Ma il problema maggiore è che, anche quando inizialmente hanno effetto, i farmaci anti-angiogenesi finiscono per perdere, strada facendo, la loro efficacia: dopo un po’ di tempo dall’inizio del trattamento, il tumore trova quasi sempre un modo di aggirare il blocco che gli viene imposto e riprende a crescere.
Per questo, anche se migliorano notevolmente le prospettive di vita di alcuni pazienti, i farmaci anti-angiogenesi non rappresentano, al momento, un’arma decisiva contro il cancro. Ma la ricerca continua e nuovi farmaci vengono sperimentati: il futuro potrebbe riservarci importanti sviluppi.
Per Approfondire
Beginning of angiogenesis research
Recent molecular discoveries in angiogenesis and antiangiogenic therapies in cancer
Anti-angiogenic therapy for cancer: current progress, unresolved questions and future directions